Comincia lunedì 3 luglio lo sciopero di 3 settimane dei giudici di pace contro la riforma della magistratura onoraria e di pace che dovrebbe tornare a breve al Consiglio dei Ministri. “Il Ministro Andrea Orlando”, si legge in una nota delle organizzazioni di categoria (Angdp, Unagipa e Cgdp), “non ha ancora dato risposta alle manifeste criticità denunciate dalle associazioni di categoria e confermate dalle Commissioni parlamentari di Giustizia, Bilancio ed Affari Costituzionali che, pur avendo dato un parere apparentemente favorevole al provvedimento, non hanno potuto fare a meno di porre numerose condizioni alla sua approvazione, tanto da smantellarne l’intero impianto. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura, nel proprio corposo parere di ben 52 pagine, facendo proprie le preoccupazioni manifestate da oltre 200 capi degli uffici giudiziari, ha smontato pezzo dopo pezzo l’intera riforma, sottolineando le negative conseguenze della stessa ed auspicando una legge ad hoc per la stabilizzazione della magistratura onoraria in servizio, così come aveva in precedenza suggerito anche il Consiglio di Stato”.
“La previsione dell’utilizzo della magistratura onoraria e di pace per non più di uno o due giorni alla settimana a parità di dotazioni organiche”, continua la nota, “con un irrisorio compenso da pensione sociale, porterà ad un allungamento considerevole della durata dei procedimenti civili e penali, e, cosa ancor più grave, affosserà un settore nevralgico della Giustizia di Pace qual è quello che si occupa di immigrazione clandestina, che in questi anni ha superato ogni livello di sostenibilità. La magistratura di pace è, infatti, impegnata sette giorni su sette su questo fronte, con procedimenti penali e di convalide delle espulsioni che non potranno più essere garantite in conseguenza della scellerata riforma”. “Dopo aver stanziato ben diciassette miliardi di euro per il salvataggio di istituti di credito”, conclude la nota dei sindacati dei giudici di pace, “non ci si può nascondere dietro l’‘alibi’ della mancanza di risorse per negare i diritti di cinquemila lavoratori che hanno tenuto in piedi l’intero sistema giudiziario, trattando negli ultimi 15 anni oltre il 60% del contenzioso civile e penale”.